Nella definizione storica, le stelle fisse sono quei corpi celesti che sembrano immobili gli uni rispetto agli altri e quindi “solidali” con la sfera celeste. Il Sole, la Luna e i pianeti invece si muovono sensibilmente rispetto alle stelle fisse.

Possiamo ancora usare utilmente le espressioni “stelle fisse” e “sfondo di stelle fisse” ma con la consapevolezza di una implicita approssimazione.

Una famosa xilografia (Camille Frammarion, L’Atmosphere, Meteorologie Populaire, Parigi 1888) rappresenta fantasiosamente un’idea della sfera celeste, nello stile del XVI secolo. La didascalia dice “Un missionaire du moyen âge raconte qu’il avait trouvé le point où le ciel et la Terre se touchent”.

Ora infatti sappiamo che nessun corpo celeste è davvero immobile nell’universo e che l’apparente “immobilità” delle stelle fisse dipende essenzialmente dalla loro grande distanza. Con il perfezionamento degli strumenti di osservazione si è scoperto che anche le stelle hanno un moto proprio. Le stelle più vicine alla Terra subiscono anche un’oscillazione dovuta ad una sensibile parallasse annua. Tutte le stelle, vicine e lontane, oscillano anche per l’aberrazione della luce. Nel 1718 Edmund Halley fornì la prova del moto proprio delle stelle confrontando la misura delle posizione di Sirio, Aldebaran e Arcturus con i dati contenuti nel catalogo di Ipparco di Nicea.

La ricerca di un riferimento “immobile” o “assoluto” rispetto al quale costruire i sistemi di coordinate ed eseguire misurazioni ha stimolato lo sviluppo della scienza astronomica proprio per il fatto che tale immobilità non esiste. Il perfezionamento degli strumenti e la scoperta di nuovi metodi di misurazione hanno sempre svelato l’instabilità di quei riferimenti che in precedenza erano considerati immobili e assoluti. Ad esempio, la direzione del punto gamma, usata come elemento fondamentale di diversi sistemi di coordinate, cambia posizione rispetto alle “stelle fisse” per effetto della precessione. Le stelle fisse poi non sono davvero fisse ma possiedono un lentissimo moto proprio che fa variare la loro posizione reciproca. In base alla direzione del punto gamma si definiscono i sistemi di riferimento equatoriale, orario, ed eclitticale, si misurano i periodi di rotazione e di rivoluzione della Terra e si costruiscono scale di tempo. L’esigenza di ridefinire il concetto di stelle fisse, dopo Halley, condurrà allo sviluppo degli attuali sistemi di riferimento il cui orientamento è confrontato con la posizione di un insieme di oggetti extragalattici, come ad esempio i quasar, la cui estrema distanza dalla Terra li rende corpi celesti praticamente “immobili”.

Nella prima parte di questa animazione si evidenzia il moto di parallasse annua delle stelle più vicine. Esse percorrono un’ellisse più o meno eccentrica a seconda della loro latitudine celeste, corrispondente al moto di rivoluzione terrestre. Nella seconda parte si può assistere alla deformazione dell’aspetto delle costellazioni dovuto al moto proprio delle stelle. Entrambi i fenomeni sono volutamente esagerati per renderli visibili. Le stelle più lontane, assieme agli oggetti extragalattici, ci danno l’idea dello “sfondo di stelle fisse”. Il “vero” sfondo di stelle fisse attuale può essere immaginato come l’insieme dei quasar e altri lontanissimi oggetti extragalattici che non hanno moto proprio rilevabile nemmeno dagli strumenti più sofisticati. (ESA Gaia Mission)

L’impressione “ingenua” che le stelle siano tra loro immobili, che siano situate sulla superficie della sfera celeste e che siano solidali con il suo moto apparente, ha consentito la descrizione di una uranografia, cioè una “geografia del cielo” con le sue costellazioni e i suoi asterismi e ha fornito agli astronomi dell’antichità una semplificazione geometrica, valida anche nell’astronomia attuale, essenziale nello studio dei complessi movimenti del Sole, della Luna e dei pianeti rispetto alle stelle.

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