La rotazione terrestre è sempre stato un fenomeno ciclico fondamentale nella storia della misurazione del tempo. Il periodo di rotazione rispetto al Sole è alla base della scala di tempo solare in tutte le sue forme storiche e attuali. Fino alla fine del Settecento l’unità di tempo utilizzata in astronomia era il giorno solare vero, cioè l’intervallo di tempo che intercorre tra due successivi passaggi del Sole al meridiano. E’ il tempo misurato dagli orologi solari. La durata del giorno solare vero però non è costante: la differenza tra il più lungo e il più corto dei giorni solari è di 51 secondi. Questa variazione dipende dalla forma dell’orbita terrestre e dalla sua inclinazione rispetto al piano equatoriale.

Con il perfezionamento degli orologi meccanici si giunse alla definizione di una nuova scala di tempo, il tempo solare medio, basato su una nuova unità di tempo: il giorno solare medio, un intervallo “costante” definito matematicamente. Nel 1884 si giunse all’introduzione del tempo medio di Greenwich (GMT) come standard internazionale.  Il GMT, è ancora utilizzato al giorno d’oggi praticamente invariato nel suo uso civile, anche se il suo nome è stato cambiato in tempo universale (UT1) e la sua definizione teorica è considerevolmente diversa. Attualmente è controllato da sofisticate misurazioni della velocità di rotazione. La scala di tempo universale coordinato (UTC), che regola gli orologi di tutto il mondo, viene saltuariamente corretta per mantenerla “sincronizzata” con UT1. In un certo modo possiamo ancora considerarlo un “tempo solare”, perché ha come scopo quello di essere allineato al meglio con la rotazione della Terra rispetto al Sole e quindi con il ciclo del giorno solare vero.

Fino alla prima metà del Novecento, alla base  di tutte le misurazioni e le teoriche astronomiche valeva una regola indiscussa: l’uniformità della rotazione terrestre.

Alcuni indizi del problema comparvero nel 1754 quando il filosofo tedesco Immanuel Kant considerò la possibilità di un rallentamento della rotazione dovuto agli effetti di marea sugli oceani.

Cinque anni prima che Kant esprimesse la sua ipotesi, l’astronomo inglese Richard Dunthorne fece una scoperta che all’epoca sembrava non aver nulla che fare con la rotazione terreste: il moto della Luna accelerava. Egli giunse ad una stima molto precisa dell’accelerazione lunare in seguito allo studio accurato di sei eclissi storiche avvenute tra il 721 a.C. e il 978 d.C.

Una spiegazione dell’accelerazione lunare fu elaborata dal matematico e astronomo francese Pierre Simon Laplace nel 1787. Laplace ne cercava la causa in una variazione di eccentricità dell’orbita terrestre. Quasi settant’anni dopo, in seguito ad una indagine del matematico e astronomo britannico John Couch Adams che dimostrava erronea l’ipotesi di Laplace o per lo meno non così influente da dar conto delle misurazioni, il fenomeno dell’accelerazione lunare rimaneva ancora privo di una spiegazione.

Nel 1865 due scienziati (il francese Charles-Eugène Delaunay e il meteorologo americano  William Ferrel) arrivarono indipendentemente alla conclusione che un rallentamento della velocità di rotazione terrestre, così come espressa da Kant, avrebbe potuto provocare un’apparente accelerazione lunare come conseguenza dell’aumento dell’unità di misura di tempo allora adottata! Nello stesso periodo, il francese Emmanuel Liais perfezionò questa idea proponendo correttamente che a fianco del rallentamento della rotazione terrestre ci doveva essere anche una reale decelerazione lunare dovuta agli effetti mareali stessi del sistema Terra-Luna.

Nei fatti, la comunità astronomica era restia ad accettare l’importanza delle forze di marea e nonostante gli accurati studi sulle eclissi storiche effettuati da pochi anni dopo da Simon Newcomb e Friedrich Ginzel con lo scopo di stimare con maggior precisione l’accelerazione lunare, il diciannovesimo secolo si chiuse senza risultati teorici apprezzabili.

Nel 1905 l’astronomo britannico Philip Herbert Cowell annunciò la scoperta dell’accelerazione solare. Le misurazioni erano favorite dall’adozione sempre più diffusa del giorno solare medio come unità di misura del tempo al posto del giorno solare vero e dal notevole miglioramento degli orologi. L’ipotesi del rallentamento della rotazione terrestre rielaborata correttamente da Cowell non si poteva più ignorare ma la resistenza alla novità era ancora forte nel mondo accademico.

Tra il 1910 e il 1936 diversi astronomi tra cui lo storico britannico John K. Fotheringham, l’astronomo olandese Willhelm de Sitter e in particolare l’astronomo britannico Harold Spencer Jones, si occuparono del problema. Jones, studiando e comparando le accelerazioni del Sole, della Luna e dei pianeti interni, giunse finalmente a dimostrare che si trattava di fenomeni apparenti, non reali, la cui causa era l’allungamento dell’unità di misura del tempo dovuta alla decelerazione della rotazione terrestre.

Una delle più importanti conseguenze del lavoro di Jones fu l’introduzione del tempo delle effemeridi (ET), una scala di tempo dinamico, che teneva conto della variazione del periodo di rotazione terrestre. La differenza $UT-ET$, chiamata $\Delta t$ rappresentava l’errore dell’orologio rotazionale terrestre,  e doveva essere tenuta in considerazione nei calcoli di posizione per neutralizzare l’effetto dell’accelerazione apparente del moto dei corpi celesti. Recentemente, il tempo ET è stato sostituito dal tempo terrestre TT; quest’ultimo però è un tempo atomico come il TAI, e per mantenere la continuità con la scala ET, esso differisce da TAI di un valore costante di secondi ($TT = TAI + 32,\!184s$).

Attualmente, le variazioni di velocità di rotazione della Terra sono controllate da scrupolose misure astrometriche di un insieme scelto di oggetti extragalattici estremamente lontani che, proprio per questo motivo, possono essere considerati come un riferimento “immobile” (vedi Giorno stellare).

Ci sono tre tipi generali di variabilità nella velocità di rotazione terrestre: 1) una decelerazione costante 2) una fluttuazione casuale e 3) dei cambiamenti periodici.

1) La decelerazione costante è dovuta all’attrito delle maree. In base allo studio di eclissi solari storiche,  Stephenson e Morrison (1984, 1995) indicano che l’aumento medio del periodo di rotazione terrestre è di circa $1,\!7$ millisecondi al secolo. La dissipazione di energia dovuta all’attrito mareale dovrebbe provocare teoricamente un aumento di $2,\!3$ ms al secolo. Per dar ragione alla differenza di $0,\!6$ ms rispetto ai dati osservativi è stata ipotizzata la presenza di una componente che agisce in senso opposto, cioè che tende ad accelerare la velocità di rotazione. Questa componente potrebbe essere dovuta dal rimbalzo post-glaciale (Yoder, 1983) o dalla dissipazione di energia mareale negli strati oceanici profondi (Egbert e Ray, 2000).

2) A partire dal 1950, con l’impiego degli orologi atomici, sono state rilevate delle variazioni apparentemente casuali di qualche secondo su periodi di una decina di anni. Queste variazioni sono probabilmente legate all’interazione tra nucleo terrestre e mantello.

3) Alcune piccole variazioni nel periodo di rotazione sono stagionali e legate ad eventi meteorologici. Altre sono variazioni periodiche dovute alle maree lunisolari. Complessivamente, queste irregolarità sono dell’ordine dei $0,\!5$ ms.

Una delle conseguenze di queste variazioni è l’aggiustamento della scala di tempo UTC con l’introduzione saltuaria di un secondo intercalare in modo da mantenerla sincronizzata al ciclo fisico del giorno solare.